I fantasmi della psicologia per Jerome Kagan, psicologo americano di fama mondiale

Interviste a Jerome Kagan che si esprime sulle contraddizioni della ricerca scientifica nelle scienze sociali, sull'inflazione diagnostica e sulle psicoterapie

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    Presentazione ufficiale del libro di Kagan a cura della casa editrice Bompiani (bollatiboringhieri.it/scheda.php?codice=9788833925028):

    CITAZIONE
    «Fuori contesto». Si chiama così la terra di nessuno delle astrazioni indimostrate in cui vagolano da tempo i fantasmi della psicologia, ossia della disciplina che più di altre dovrebbe invece indagare gli esseri umani nella loro viva, singolare concretezza. A cacciare i fantasmi con intrepido fervore è proprio uno psicologo, tra i maggiori al mondo. Pochi come Jerome Kagan conoscono dall’interno le dinamiche dei progetti di ricerca e sono in grado di additare autorevolmente i preconcetti che ne viziano i risultati. Una miriade di studi empirici iperfinanziati e manuali diagnostici a diffusione universale condividono un identico cono d’ombra, perché si ostinano a ignorare la significatività – per gli stati mentali – dell’appartenenza culturale, della collocazione sociale e delle storie di vita degli individui. Esaminare le emozioni, i sentimenti e i comportamenti fidando soltanto nelle dichiarazioni verbali dei soggetti intervistati, misurare le relative attività cerebrali senza tener conto dei setting specifici, o invocare un’origine monocausale, perlopiù genetica, per le patologie psichiatriche sono procedure avventate, che finiscono con l’oscurare evidenze incontrovertibili e alterare i dati. Il benessere soggettivo descritto da una donna povera del Nicaragua non potrà essere calcolato sull’indice di felicità di un avvocato parigino; gli americani depressi di origine cinese non risponderanno a un questionario sulla depressione, ritenuta stigmatizzante, allo stesso modo delle madri norvegesi; un ragazzo ansioso di San Francisco parlerà della sua condizione secondo parametri inassimilabili a quelli di un monaco buddhista sessantenne, che forse non dispone neppure della parola «ansia» in tibetano. Ecco, ammonisce Kagan, bisogna ridare corpo a tutto ciò che, decontestualizzato, si è ridotto a ectoplasma. Una psicologia riformata dovrebbe aggiornare il motto delfico: «Conosci te stesso in ogni contesto».

    Fonte intervista seguente: cultura.mindpress.it/156/fantasmi-della-psicologia-la-crisi-di-una-professione/

    A sua volta l'articolo sopra ha preso l'intervista dal numero 257 della rivista Focus, numero pubblicato il 21/02/2014.

    "I fantasmi della psicologia, la crisi di una professione

    Pubblicato l'11 marzo 2014

    Riportiamo di seguito l’intervista rilasciata da Jerome Kagan, psicologo di fama mondiale, a Emanuela Cruciano in occasione della prossima uscita del suo ultimo libro I fantasmi della psicologia, la crisi di una professione. L’intervista è tratta dal numero 257 della rivista Focus.

    Domanda: Nel suo ultimo libro, I fantasmi della psicologia, lei contesta il lavoro di psichiatri e psicologi. Che cosa non va?

    Risposta: Il modo in cui viene condotta la ricerca in psicologia e psichiatria: ha molti punti deboli. Come la tendenza dei ricercatori ad affermare concetti psicologici basandosi su una singola misura, piuttosto che su una serie di parametri. Poi si ripone troppa fiducia nei report verbali: il 90 per cento delle ricerche si basa su ciò che le persone dicono di se stesse. Eppure si sa che le descrizioni verbali sono fallibili perché la gente vuole dare di sé una buona impressione e non ricorda con precisione tutto quello che le è successo in passato. Pertanto l’analisi dei questionari andrebbe sempre integrata con osservazioni sul comportamento. Per non parlare di studi condotti su campine non rappresentatii o che non tengono conto del contesto socioculturale in cui vivono i soggetti.

    Non risparmia neanche un mostro sacro come Freud: che cosa gli contesta?

    Sosteneva che l’ansia legata alla sessualità fosse la causa universale di tutte le nevrosi, mentre invece il contesto storico e sociale ha un ruolo di primo piano nell’indurre ansie e tensioni. Convinse tutti che i conflitti sessuali fossero la vera causa di ogni disagio ignorando tutti gli altri fattori. Certo, è innegabile il valore del suo contributo alla scienza: ha portato altri studiosi a riconoscere il ruolo dell’esperienza in famiglia, dell’inconscio, della fase edipica. Prima di lui tutti i medici europei si focalizzavano solo sulla biologia.

    È così difficile fare ricerca sui disturbi mentali rispetto ai fenomeni biologici?

    Sì, perché non si possono manipolare le persone per creare le condizioni necessarie all’esperimento. Le faccio un esempio: non si possono assegnare dei bambini a case diverse per stare a osservare come crescono. Inoltre, gli psicologi non hanno sviluppato le sofisticate tecnologie che, per esempio, hanno consentito ai biologi di fare scoperte straordinarie. Inoltre un disagio mentale è il risultato di una combinazione di geni, storia personale, ambiente. L’indagine è complessa. In passato, quando la scuola non era obbligatoria si registravano molti meno casi di Adhd (disturbo d’attenzione con iperattività) perché i bambini non dovevano restare seduti in classe per ore svolgendo compiti noiosi e pertanto non manifestavano irrequietezza.

    In molti Paesi, Stati Uniti in testa, in effetti sembra sia scoppiata una epidemia di Adhd.

    Questo perché i medici decidono di etichettare così molti casi di difficoltà di apprendimento. E non indagano le cause specifiche, caso per caso. Potrebbero scoprire che diversi bambini “iperattivi” semplicemente a scuola non sono motivati a far bene o non sono preparati a svolgere i compiti scolastici. Sono davvero pochi i piccoli che hanno una campromissione biologica all’origine della loro irrequietezza.

    Come vanno affrontate le proprie sofferenze? C’è da fidarsi della psicoterapia?

    La psicoterapia aiuta solo a condizione che il paziente e lo psicologo siano d’accordo sulla causa del problema. Questa condivisione è la cura migliore. Inoltre il paziente deve avere fiducia nel terapista e credere che si prenderà cura di lui. A questa condizione molte terapie possono funzionare perché la fiducia del paziente è un requisito fondamentale. Ma, sottolineo, il primo passo da fare è sempre cercare la causa del problema. Spesso sono fattori oggettivi. È provato, per esempio, che gli adulti meno istruiti e con un lavoro poco retribuito sono più propensi a sentirsi depressi rispetto ad adulti laureati e con un buon impiego. Il loro disagio si cura con un lavoro migliore, non con una pillola."

    Alcuni cenni biografici su Jerome Kagane:

    CITAZIONE
    Jerome Kagan è professore emerito di Psicologia alla Harvard University. Ha diretto la Mind/Brain/Behaviour Interfaculty Initiative ed è stato collaboratore del National Institute of Mental Health e del National Research Council. Gli studi pionieristici sulla psicologia dell’età evolutiva l’hanno consacrato tra i maggiori psicologi contemporanei.
    Tra i suoi saggi tradotti in italiano: La natura del bambino. Psicologia e biologia dello sviluppo infantile (1988), Tre idee che ci hanno sedotto. Miti della psicologia dello sviluppo (2001) e Le tre culture. Scienze naturali, scienze sociali e discipline umanistiche nel XXI secolo (2013). Con Bollati Boringhieri ha pubblicato La trama della vita. Come geni, cultura, tempo e destino determinano il nostro temperamento (2011).

    Affine a questo argomento, vedi anche il seguente articolo: Le ricerche della psicologia sono scientificamente attendibili?

    "Le opinioni di Jerome Kagan sull'inflazione diagnostica

    Fonte: Der Spiegel, 2 febbraio 2012

    SPIEGEL Intervista a Jerome Kagan
    'Un sostegno non sarebbe meglio delle pillole?'

    Docente di psicologia a Harvard, Jerome Kagan è uno dei maggiori esperti mondiali in psicologia dell’età evolutiva. In un'intervista rilasciata a SPIEGEL esprime una feroce critica all’establishment della salute mentale e all’industria farmaceutica, accusandoli di classificare abusivamente come malati mentali milioni persone solo per interesse e avidità.

    Jerome Kagan ha alle spalle una brillante carriera come ricercatore in psicologia. Quando tuttavia considera oggi il proprio campo, è sopraffatto dalla malinconia e dall’inquietudine. Lo paragona a una splendido antico mobile di legno: una volta, da studente, si era dato il compito di restaurarlo con i suoi colleghi.
    Si era portato a casa uno dei cassetti, e ha trascorso tutta la vita a intagliarlo, a sagomarlo e a levigarlo. Poi ha tentato di rimettere il cassetto nel mobile, rendendosi conto però che il mobile nel frattempo era marcito.
    Se c’è qualcuno che ha la competenza professionale e l'autorità morale per fare un paragone tra la psicologia e un mobile finito a marcire, questo è Kagan. Una classifica dei cento maggiori psicologi del XX ° secolo pubblicata da un gruppo di studiosi americani nel 2002 ha collocato Kagan al ventiduesimo posto, prima di Carl Jung (al ventitreesimo), il fondatore della psicologia analitica, e di Ivan Pavlov (al ventiquattresimo), scopritore del riflesso condizionato che porta il suo nome.
    Kagan ha studiato psicologia dello sviluppo presso l'Università di Harvard nel corso di tutta la sua carriera professionale. Ha trascorso decenni osservando come crescono i neonati e i bambini, misurandoli, saggiandone le reazioni e, dopo che hanno imparato a parlare, interrogandoli ripetutamente. Le domande principali per lui sono: Come emerge la personalità? Quali sono i fattori innati e quali si sviluppano in seguito? Che cosa fa sì che alcuni individui siano sani e altri invece si ammalino mentalmente nel corso della vita?
    Nella sua ricerca, Kagan ha stabilito che il modo in cui ci formiamo nell’infanzia non è irreversibile, contrariamente a quanto a lungo è stato ipotizzato. Kagan sostiene inoltre che anche i bambini che hanno subito enormi privazioni nei primi mesi di vita possono egualmente svilupparsi in modo normale, purché siano successivamente posti in ambiente favorevole. Ha egualmente studiato il modo in cui nel secondo anno di vita l’individuo programmaticamente si umanizza: il vocabolario cresce improvvisamente d’un balzo, e si sviluppano l’empatia, la sensibilità morale e la consapevolezza di sé.
    Ma il contributo più significativo di Kagan alla ricerca evolutiva è consistito nell’analisi del carattere innato. Ha scoperto infatti che già a quattro mesi, circa il 20% dei bambini ha reazioni ritrose di fronte a situazioni, oggetti o persone nuove. Ha definito questi bambini come "altamente reattivi" e ha osservato che tendono a svilupparsi come bambini e come adulti ansiosi. Il 40% dei bambini, quelli che chiama "bassamente reattivi", si comportano invece in modo opposto: sono rilassati, facili da curare e curiosi. Nella vita adulta poi non si lasciano turbare facilmente.
    Kagan avrebbe potuto dar seguito alla sua scoperta in un modo "bassamente reattivo" ritirandosi e lasciando che la successiva generazione di ricercatori ad ammirare le sue ricerche. Ha invece attaccato la sua professione nel libro recentemente pubblicato "I fantasmi della psicologia: crisi nella professione e ritorno". Nel libro segnala che questa crisi ha avuto conseguenze disastrose per milioni di persone, che sono state abusivamente diagnosticate come malati mentali.


    SPIEGEL: Professor Kagan, ha studiato lo sviluppo dei bambini per più di cinquant’anni. In questo periodo, la loro salute mentale è migliorata o peggiorata?

    Kagan: Diciamo che è cambiata. Nelle famiglie più povere soprattutto, tra gli immigrati e le minoranze, i problemi di salute mentale sono aumentati. Oggettivamente parlando, gli adolescenti in questi gruppi hanno più opportunità oggi di quante ne avessero cinquant’anni fa, ma rimangono ancora ansiosi e frustrati, perché la disuguaglianza sociale è cresciuta. Il numero di casi diagnosticati come disturbi da deficit di attenzione e come depressione è cresciuto tra i poveri.
    SPIEGEL: Si potrebbe anche dire che è salito alle stelle. Nel 1960, i disturbi mentali erano praticamente sconosciuti tra i bambini. Oggi, fonti ufficiali affermano che un bambino su otto negli Stati Uniti ha problemi mentali.
    Kagan: È vero, ma ciò è dovuto soprattutto a pratiche diagnostiche sfocate (fuzzy). Torniamo indietro di cinquant’anni anni. Troviamo un bambino di sette anni che si annoia a scuola e disturba le lezioni. Allora lo si chiamava pigro. Oggi si dice che soffre di disturbo d’attenzione con iperattività, ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). Ecco perché i numeri sono saliti alle stelle.
    SPIEGEL: Gli esperti parlano di 5,4 milioni di bambini americani che mostrano i tipici sintomi di ADHD. Sta dicendo che questo disturbo mentale è solo un'invenzione?
    Kagan: Esatto, è un'invenzione. Quando un bambino non riesce bene a scuola viene mandato da un pediatra, e il pediatra dice: "È 'l'ADHD, gli dia il Ritalin." Infatti, il 90% di questi 5,4 milioni di bambini non ha un metabolismo anomalo della dopamina. Il problema è che se c’è un farmaco a disposizione, i medici fanno la diagnosi corrispondente.
    SPIEGEL: La presunta crisi sanitaria tra i bambini è non quindi in realtà nient’altro che una bufala?
    Kagan: Potremmo fare un po’ i filosofi e chiederci: "Che cosa significa malattia mentale?" Quando si fanno colloqui con bambini e adolescenti di età compresa tra dodici e i diciannove anni, il 40% può essere classificato come ansioso o come depresso. Ma se si va a vedere più da vicino e ci si chiede quanti di loro siano gravemente compromessi da questi problemi, il numero si riduce a 8%. Descrivere ogni bambino depresso o ansioso come un malato mentale è ridicolo. Gli adolescenti sono ansiosi, è normale. Non sanno in quale università andare, la loro fidanzata o il fidanzato li hanno appena mollati. Essere tristi o ansiosi fa parte della vita, come provare rabbia o frustrazione sessuale.
    SPIEGEL: Che cosa significa il fatto che milioni di bambini americani siano erroneamente dichiarati malati mentali?
    Kagan: Beh, soprattutto significa più soldi per l'industria farmaceutica e più soldi per gli psichiatri e i ricercatori.
    SPIEGEL: E che cosa significa per i bambini in questione?
    Kagan: Per loro, è un segno che qualcosa in loro non va, e può essere debilitante. Non sono l'unico psicologo a dirlo. Ma abbiamo contro di noi una potente alleanza: le aziende farmaceutiche, che stanno facendo miliardi, e una professione che bada solo ai propri interessi.
    SPIEGEL: Lei ha scritto una volta di aver sofferto di irrequietezza interiore da bambino. Se fosse nato oggi, apparterrebbe al 13% dei bambini che vengono dichiarati malati mentali?
    Kagan: Probabilmente. A cinque anni ho iniziato a balbettare. Ma mia madre ha detto: "Non c'è niente che non va in te: la mente sta solo lavorando più in fretta della lingua.». E ho pensato: "Accidenti, che bello, sto balbettando solo perché sono così intelligente."
    SPIEGEL: Oltre all’ADHD, una seconda epidemia dilaga tra i bambini: la depressione. Nel 1987 un adolescente americano su quattrocento è stato trattato con antidepressivi, nel 2002 eravamo già a uno su quaranta. A partire da che età è possibile parlare di depressione nei bambini?
    Kagan: Non è una domanda a cui sia facile rispondere. Negli adulti la depressione comporta una grave perdita, un senso di colpa, o la sensazione di non riuscire a raggiungere l’obiettivo che si voleva perseguire. I neonati, ovviamente, non sono ancora in grado di provare queste emozioni. Ma raggiunta l'età di tre o quattro anni un bambino può sviluppare qualcosa di simile a un senso di colpa, e se perde la madre a quell'età, avrà un momento di tristezza. Così, da quel momento può verificarsi una lieve depressione. Ma la sensazione di non essere in grado di raggiungere un obiettivo fondamentale nella vita e di non vedere alternative diventa importante solo a partire dalla pubertà. Questa è anche l'età in cui l'incidenza della depressione cresce drammaticamente.
    SPIEGEL: Di fatto bambini sempre più piccoli sono sempre più trattati con antidepressivi.
    Kagan: Sì, solo perché le pillole sono disponibili.
    SPIEGEL: Quindi vorrebbe abolire completamente la diagnosi di depressione tra i bambini?
    Kagan: No, non vorrei spingermi fino a questo. Ma se una madre porta la figlia da un medico e dice che di solito la ragazza era molto più allegra di ora, il medico dovrebbe prima di tutto cercare di scoprire qual è il problema. Dovrebbe vedere la ragazza da sola, magari fare qualche test prima di prescrivere farmaci e certamente far fare un EEG. Alcuni studi dimostrano che le persone con una maggiore attività nel lobo frontale destro rispondono poco agli antidepressivi.

    'Gli psichiatri dovrebbero chiedersi quali sono le cause'

    SPIEGEL: Uno dovrebbe aspettare per vedere se la depressione se ne va da sola?

    Kagan: Dipende dalle circostanze. Prendete il mio caso: Circa trentacinque anni fa, stavo lavorando a un libro che riassume un importante progetto di ricerca. Avrei voluto dire qualcosa di veramente importante, ma non mi veniva molto bene. Così sono entrato in una depressione da libro di testo. Non riuscivo più a dormire, e presentavo anche tutti gli altri criteri clinici. Ma sapevo qual era stata la causa, quindi non sono andato da uno psichiatra. E come vaa finire? Sei mesi più tardi, la depressione era passata.
    SPIEGEL: In un caso come questo, ha ancora senso parlare di malattia mentale?
    Kagan: Gli psichiatri direbbero che ero un malato mentale. Ma cos’era successo? Mi ero dato uno standard troppo alto e non ero riuscito a soddisfarlo. Così ho fatto quello che la maggior parte delle persone farebbe in questa situazione: sono andato in depressione per un po '. La maggior parte delle depressioni di questo genere saltano fuori così. Ma ci sono anche persone con una vulnerabilità genetica alla depressione, per le quali i sintomi non passano da soli. Queste persone sono cronicamente depresse, sono malate mentali. È quindi importante guardare non solo i sintomi, ma anche le cause. La psichiatria è l'unica professione medica in cui le malattie si basano solo sui sintomi.
    SPIEGEL: E che sembra man mano scoprire disturbi sempre nuovi. Disturbi bipolari, per esempio, che non si riscontrano quasi mai nei bambini. Oggi si dice ne soffra quasi un milione di americani di età inferiore ai diciannove anni.
    Kagan: Mi sembra che veramente siamo andati troppo in là. Un gruppo di medici del Massachusetts General Hospital ha iniziato a vedere ragazzi che hanno presentato malumori di tipo bipolare. Non avrebbero dovuto farlo. Ma alle case farmaceutiche è molto piaciuto, perché i farmaci contro i disturbi bipolari sono costosi. L’onda è iniziata così. È un po' come nel XV° secolo, quando la gente ha iniziato a pensare che qualcuno potesse essere posseduto dal demonio o affatturato da una strega.
    SPIEGEL: Sta confrontando la psichiatria moderna con la lotta contro la stregoneria nel Medioevo?
    Kagan: I medici fanno continuamente errori, malgrado le loro buone intenzioni. Non sono cattivi, è che possono sbagliare. Prendere Egas Moniz, che è intervenuto chirurgicamente sui lobi frontali degli schizofrenici perché pensava così di curarli.
    SPIEGEL: E ha ricevuto per questo il premio Nobel nel 1949.
    Kagan: Sì, in effetti. Nel giro di pochi anni, migliaia di schizofrenici si sono trovati con i lobi frontali tagliati, fino a quando ci si è resi conto che si è trattato di un errore terribile. Se si pensa a quante persone sono state lobotomizzate, essere classificati come bipolari è relativamente innocuo.
    SPIEGEL: Non è tuttavia completamente innocuo. Dopo tutto la chimica del cervello dei bambini con questa diagnosi viene sistematicamente modificata con sostanze psicoattive.
    Kagan: Condivido la sua insoddisfazione. Ma questa è la storia dell'umanità: quelli insediati in posizione d’autorità sono convinti di fare la cosa giusta, e danneggiano coloro che non hanno potere.
    SPIEGEL: Questo suona piuttosto cinico. Ci sono alternative rispetto alla possibilità di dare psicofarmaci a bambini che presentano anomalie del comportamento?
    Kagan: Certamente. Un sostegno per esempio. Chi riceve una diagnosi di ADHD? I bambini che non vanno bene a scuola. Non succede mai ai bambini che vanno bene. Non sarebbe meglio un sostegno invece di pillole?
    SPIEGEL: Ascoltandola si potrebbe avere l'impressione che le malattie mentali siano semplicemente un'invenzione dell'industria farmaceutica.
    Kagan: No, sarebbe un’affermazione folle. Ci sono, naturalmente, persone che soffrono di schizofrenia, che sentono la voce del bisnonno, per esempio, o che credono che i russi stiano sparando loro raggi laser negli occhi. Questi sono i malati di mente che hanno bisogno di aiuto. Una persona che acquista due auto in un solo giorno e il giorno dopo non è in grado di alzarsi dal letto ha un disturbo bipolare. E uno che non può mangiare un boccone in un ristorante perché potrebbe esserci lì gente a guardare ha una fobia sociale. Ci sono persone che, per nascita o per via ereditaria, hanno seri punti di fragilità nel sistema nervoso centrale che li predispongono alla schizofrenia, al disturbo bipolare, all’ansia sociale o al disturbo ossessivo-compulsivo. Dovremmo saper distinguere queste persone da tutti gli altri che sono ansiosi o depressi a causa della povertà, del rifiuto, della perdita o del fallimento. I sintomi possono sembrare simili, ma le cause sono completamente differenti.
    SPIEGEL: Ma come si possono distinguere concretamente?
    Kagan: Gli psichiatri dovrebbero cominciare a fare diagnosi come fanno tutti gli altri medici: dovrebbero chiedersi quali sono le cause.
    SPIEGEL: I problemi di cui parla non sono nuovi. Perché crede che la psichiatria sia in crisi proprio in questo momento?
    Kagan: È una questione di misura. Gli studi epidemiologici sostengono che una persona su quattro è malata di mente. I Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta hanno recentemente annunciato che un bambino americano su ottantotto è affetto da autismo. Questo è assurdo. Significa che gli psichiatri chiamano autistico qualsiasi bambino si trovi in difficoltà nelle relazioni sociali. Se sostenessimo che chi non può percorrere un miglio in dieci minuti ha un grave handicap motorio, ci troveremmo di fronte a un'epidemia di gravi disabilità locomotorie tra le persone anziane. Può sembrare strano, ma è esattamente quel che sta succedendo oggi nella psichiatria.
    SPIEGEL: Non prova vergogna a volte, all’idea di appartenere a una professione che a suo parere dichiara erroneamente malata di mente gran parte della società?
    Kagan: Mi sento triste, non mi vergogno ... ma forse un po’ anche mi vergogno.
    SPIEGEL: Più di sessant’anni fa, quando ha deciso di diventare psicologo, voleva "migliorare le condizioni sociali in modo che fossero sempre meno le persone costrette a provare vergogna per un insuccesso scolastico o per il dolore psichico della depressione", come ha detto una volta. Fino a che punto c’è riuscito?
    Kagan: Non molto, purtroppo, perché ho avuto l'idea sbagliata. Ho pensato che la situazione familiare fosse determinante per avere successo nella vita. Ho pensato che se avessimo potuto aiutare i genitori a svolgere meglio il loro compito, avremmo potuto risolvere molti problemi. Per questo ho scelto di diventare psicologo infantile. Non sono stato in grado di riconoscere le forze più grandi: la cultura, la condizione sociale, ma anche la neurobiologia. Ho davvero pensato che tutto si decidesse nella famiglia, e che la biologia fosse irrilevante.
    SPIEGEL: Si è man mano reso conto che il legame tra la madre e il bambino non è poi così importante.
    Kagan: Sì è vero, anche se bisogna tener presente che il ruolo della madre fino a poco tempo fa non è mai stato accentuato. Alcuni commentatori cinquecenteschi hanno anche scritto che le madri non erano adatte alla cura dei bambini: troppo emotive, troppo iperprotettive. Ma quando la borghesia è venuta alla ribalta nel XIX° secolo, le donne non avevano più bisogno di uscire per andare a lavorare. Avevano un sacco di tempo a disposizione. La società le ha così incaricate dicendo loro: “Sei tu che devi ora plasmare questo bambino." Al tempo stesso i bambini della classe media non erano più costretti a contribuire al bilancio familiare come invece i bambini di origine contadina. Non c’era più bisogno di loro e quindi correvano il rischio di sentirsi inutili. Ma quando un bambino non si sente necessario, ha bisogno di un altro segno. Così l'amore è diventato improvvisamente importante. E chi dà l'amore? Le donne. Alla fine è arrivato John Bowlby e ha romanticizzato l’attaccamento materno.
    SPIEGEL: Bowlby, lo psichiatra britannico, è stato uno dei padri della teoria dell'attaccamento. Ritiene che le sue ipotesi siano sbagliate?
    Kagan: La gente voleva risposte semplici, e aspirava a una concezione addolcita dell’umanità, soprattutto dopo gli orrori della seconda guerra mondiale. Questo si combina bene con l'idea che solo i bambini che fin dalla nascita possono riporre fiducia nelle loro madri sono in grado di condurre una vita felice.
    SPIEGEL: L’ansia all’idea che lasciare i figli in asili nido possa danneggiarli persiste ancora oggi.
    Kagan: Purtroppo, anche se abbiamo già smentito quest’idea nel 1970. C’era Nixon in quel momento, e il Congresso stava considerando l'idea di centri nazionali d’assistenza diurna. Insieme a due colleghi ho ricevuto un grosso contributo per studiare l'effetto dei luoghi di cura diurna su un gruppo di bambini. I bambini del gruppo di controllo erano invece curati a casa dalle madri. Dopo trenta mesi ci siamo resi conto che non vi era nessuna differenza tra i due gruppi. Tuttavia, ancora oggi, quarant’anni dopo, la gente sta ancora sostenendo che i centri diurni danneggiano i bambini. Nel 2012.
    SPIEGEL: Professor Kagan, la ringraziamo per questa conversazione.
    Intervista realizzata da Johann Grolle e Samiha Shafy"

    Edited by Saisontor - 2/2/2016, 12:40
     
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